Per fortuna veniamo da questa terra dove la vita ci insegna a riconoscere le pieghe sul volto delle persone e quando si tratta di parlare di cibo siamo dei campioni. Il riscatto parte da qui, cercando di prolungare un guizzo immediato che i brucia istantaneo come il gusto che ti trafigge. Quello assaggiato da bambino, cresciuto lì, come lo faceva nonna e che scioglie nel cuore un sentimento consolatorio che ci porta lontano per un istante. Il cibo e il nostro corpo hanno origini in comune e sono sostanzialmente la stessa cosa, come suggerisce di riflettere il filosofo bulgaro Mikhaël Aïvanhov
I tempi sono così cambiati e i consumi pure, nell’arco di poche generazioni abbiamo migliorato la qualità dei processi produttivi e cominciato lentamente a individuare, salvaguardare e scegliere cosa recuperare di autentico dalla tradizione. Le distanze non sono più un problema. Abbiamo voglia di scegliere e avere uno spazio personale, cerchiamo più a fondo. Esploriamo bolle locali, quella biodiversità così radicata nel mondo in cui gli spostamenti erano ancora complicati. Ogni terreno esprimeva allora, più di oggi, un mondo nuovo e incontaminato dove emergevano piccole varietà e noi eravamo parte di quella bolla.
Con tutte le dovute differenze fortemente radicate e l’imprecisione di chi tenta di trovare gli elementi comuni, oggi possiamo finalmente conoscere la tradizione dei cibi che hanno alimentato per generazioni la gente del mezzogiorno. Proteine in prevalenza vegetale, più pesce che carne. Frutta fresca, verdura, legumi secchi d’inverno, i grassi prevalentemente dall’olio di oliva.
L’Italia dei taglieri, di quelli ricoperti di fette sottile di salume con la sua bella denominazione di qualità é un’invenzione di un’autenticità recente, prima gli animali in giro erano pochi. Ci si muoveva poco e si consumava localmente, consuetudini alimentari il cui riflesso si é manifestato con la Dieta Mediterranea. Che di appropriazione si tratta, la “dieta mediterranea” é un vessillo che abbiamo sollevato in quella fase in cui della tradizione avevamo un po’ di imbarazzo dopo aver scoperto le luci della distribuzione organizzata e la fascinazione dei prodotti uguali e pastorizzati.
Quando ricercatori americani scoprirono che la popolazione italiana della Campania denutrita degli anni cinquanta del novecento non soffrisse di patologie cardiovascolari e di disturbi gastrointestinali e il collegamento con il tipo di dieta povera di proteine animali e di quantità finì per definire come Mediterranean Diet una parte degli studi di un biologo, fisiologo e nutrizionista dell’Università del Minnesota che si chiamava Ancel Keys, all’interno di “Seven Countries study”, una ricerca estesa in 7 nazioni Grecia, Finlandia, Jugoslavia, Olanda, Giappone e USA ma da cui era esclusa proprio l’Italia.
Non é stato un problema perché la Dieta Mediterranea é diventata cosa nostra quanto le pieghe dei visi che sappiamo riconoscere e che possiamo capire. La percepiamo come nostra anche perché con questi ingredienti si possono apparecchiare sia pietanze grasse e per nulla salutari o decidere di seguire una strada dove l’alternanza di questi ingredienti é importante come la loro qualità. Pane, pasta, frutta, verdura, moltissimi legumi, olio extra-vergine di oliva, pesce e pochissima carne uova e formaggio. La ricerca della perfetta interpretazione, proseguita per generazioni per trasformare gli ingredienti in bontà spiega il suo successo. Quando mangiamo cerchiamo di ricordarci che, come suggeriva Aïvanhov, alla fine il cibo e il nostro corpo hanno origini in comune e sono sostanzialmente la stessa cosa. Ci meritiamo il meglio.